Le condizioni patologiche preesistenti non escludono la responsabilità medica
La Corte di Cassazione con la pronuncia in esame, sentenza 8 novembre 2023 n. 30158, ha affermato che le condizioni patologiche del paziente preesistenti, da considerarsi come concause dell’evento infausto, sono irrilevanti nei casi di responsabilità medica qualora il decesso del paziente sia dovuto ad un’azione o omissione del sanitario che finisce per avere una valenza concausale determinante dell’insulto.
Nel caso di specie, una persona veniva ricoverata in ospedale per un grave ictus cerebrale e, a causa dell’interruzione di un farmaco disposta da uno dei sanitari che lo aveva in cura, subiva un secondo ictus e, a distanza di qualche mese, avveniva il decesso del paziente.
I familiari del de cuius presentavano una domanda di risarcimento per la perdita del rapporto parentale poiché, secondo la tesi dei loro legali, la dipartita era ascrivibile sia all’assenza di un monitoraggio adeguato delle condizioni di salute del paziente sia alla sospensione del farmaco anticoagulante e salvavita che avrebbe potuto, al contrario, evitare il secondo ictus cerebrale.
In altre parole, alla struttura ospedaliera veniva contestato un certo ritardo nelle cure necessarie e la scelta errata – presa da un sanitario – di sospendere la somministrazione di un farmaco, che aveva portato ad un secondo ictus cerebrale per il paziente.
Il Tribunale respingeva la domanda degli attori poiché – secondo l’organo giudicante – alla struttura ospedaliera non erano ascrivibili profili di responsabilità medica.
I familiari del defunto si opponevano alla sentenza di primo grado e proponevano ricorso in Corte di Appello.
La Corte Territoriale disponeva una nuova consulenza tecnica d’ufficio che ribaltava quanto stabilito dal Giudizio di Primo Grado e, conseguentemente, accoglieva le domande risarcitorie, condannando la struttura ospedaliera per l’operato dei propri sanitari.
In particolare, la Corte Territoriale sosteneva che l’interruzione del farmaco posta in essere da uno dei sanitari era da considerarsi determinante nel processo eziologico del secondo ictus cerebrale e, a distanza di qualche mese, anche del decesso del paziente.
Era infatti emerso che, nonostante il quadro clinico pluripatologico, se i sanitari avessero agito tempestivamente e in modo adeguato non si sarebbe verificata la morte del paziente. Dunque ne deriva che le problematiche preesistenti della vittima, se correttamente inquadrate e gestite, con il supporto farmacologico anticoagulante non avrebbero, secondo un giudizio del più probabile che non, determinato il decesso del medesimo.
L’azienda ospedaliera proponeva ricorso in Cassazione che ha confermato le decisioni assunte dalla Corte Territoriale, condannando la struttura sanitaria.
Gli Ermellini, nel caso di specie, richiamano il principio dell’equivalenza causale.
Tale principio afferma che tutte le cause che agiscono direttamente o indirettamente nella realizzazione di un evento devono essere ritenute idonee a determinare l’evento stesso. Dunque, tutte le cause hanno la stessa valenza.
Tuttavia, nel caso in esame, la morte non si sarebbe comunque verificata ugualmente se i sanitari avessero agito nel modo più consono.
E a tal preciso riguardo, gli Ermellini, condividendo le conclusione del CTU nominato in sede di Appello, sostengono che “la sospensione del farmaco anticoagulante salvavita non si è inserita in un processo irreversibile che avrebbe comunque portato al secondo ictus e poi al decesso quattro mesi dopo, ma l’interruzione del farmaco dicumarolico ha costituito una determinante concausa del secondo ictus e dell’exitus del paziente, giacché, se fosse stata tenuta la condotta alternativa corretta, il decesso non si sarebbe verificato secondo il più probabile che non”.
Nel giudizio in esame, è dunque emerso che “le pregresse comorbilità non erano idonee in concreto a produrre esiti mortali”.