ASP DI REGGIO CALABRIA HA RISARCITO SIA IL DANNO BIOLOGICO DEL 25% SIA QUELLO DI RIDUZIONE DELLA CAPACITA’ LAVORATIVA IN FAVORE DI UNA DANNEGGIATA NATA CON GRAVI LESIONI PER LA NEGLIGENZA DEI SANITARI
La Corte di Cassazione con la pronuncia in esame, ordinanza del 22 ottobre 2024 n. 27353, si è occupata della richiesta di risarcimento presentata dai genitori di una bambina, con gravi lesioni determinate dal comportamento negligente dei sanitari durante il parto.
Questi gravi danni erano stati accertati da una commissione medica con un’invalidità riconosciuta permanente del 25%.
Nel caso di specie, la parte attrice citava in giudizio l’Asp di Reggio Calabria e, di conseguenza, anche i professionisti che durante il parto avevano tenuto un comportamento omissivo.
Il giudizio incardinato dai medesimi si fondava su due elementi: ossia la richiesta del risarcimento del danno biologico permanente nella misura del 25% e quello per la perdita della capacità lavorativa in capo alla minore.
Questo provvedimento è molto importante in quanto prende in considerazione non solo il danno biologico arrecato alla piccola, ma anche le potenziali conseguenze economiche (mancati introiti futuri) a lungo termine, specialmente in presenza di minori.
L’idea di considerare pure le potenziali conseguenze economiche future potrebbe portare ad alcuni aspetti positivi come, ad esempio, una maggior responsabilizzazione del personale medico e/o delle strutture sanitarie, una maggiore attenzione, prudenza o cautela in situazioni critiche, come il parto, in modo da evitare possibili rischi o complicanze indesiderate per la futura creatura.
La capacità lavorativa può essere di due tipi: specifica o generica.
La capacità lavorativa generica viene definita come l’attitudine di un soggetto a svolgere una professione con le proprie abilità e con le proprie inclinazioni in modo da poter produrre reddito; mentre quella specifica è riferita all’idoneità della persona a continuare a svolgere l’attività o la mansione che ha sempre eseguito.
Tornando al caso in esame, quindi, i giudici di merito accoglievano la domanda limitatamente al risarcimento del danno biologico e, invece, rigettava quella relativa al danno da perdita della capacità lavorativa.
Secondo i giudici l’accertata e la riconosciuta invalidità del 25% non era di per sé sufficiente a dimostrare l’impossibilità di produrre reddito in futuro, poiché la persona danneggiata avrebbe dovuto dimostrare che la lesione subita non permetteva a quest’ultima di godere di una specifica opportunità di studio o di lavoro, e che dunque non avrebbe tratto giovamento dalle opportunità che si sarebbero trasformate in possibilità di produrre guadagni futuri.
In altre parole, l’esistenza di questi gravi danni o complicazioni non era condizione sufficiente per provare la riduzione della capacità lavorativa, in quanto la danneggiata:
non aveva espresso le sue aspettative di lavoro o le sue inclinazioni in modo da poter intraprendere una mansione lavorativa;
non aveva nemmeno dimostrato la difficoltà o l’ostacolo nello svolgere uno specifico lavoro.
Proprio per tali motivazioni, i giudici di merito rigettavano la parte della domanda relativa alla riduzione della capacità lavorativa.
La Suprema Corte, invece, ribaltava quanto stabilito in secondo grado e accoglieva integralmente la domanda posta inizialmente dai genitori.
Gli ermellini con questa sentenza hanno ancora una volta ribadito il principio secondo cui: ”nei casi in un cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica categoria di danno con criteri equitativi”.
La Suprema Corte afferma, inoltre, che visto il grado di invalidità permanente accertato è molto probabile che la vittima percepirà un reddito inferiore rispetto a quello che avrebbe potuto percepire in assenza del fatto lesivo subito.
In caso di minore o di un soggetto che non percepisce redditi, il danno da perdita della capacità lavorativa deve essere risarcito in misura pari al triplo della pensione sociale.